venerdì 2 maggio 2014

Un bilancio su Rotazioni e Rotazioni Lab: sette anni di blogging

Ricorreranno fra poco sette anni (non otto, come avevo pensato all'inizio, ho quindi guadagnato un anno sabbatico, anche se il rimambimento galoppante me lo rende meno intenso), sette anni dal mio primo post sul blog Rotazioni (in effetti era il 16/5/2007, il primo post si intitolava "La Piece of shit in costruzione", e non aggiungo altro). Da un paio d'anni trafficavo con la meccanica ciclistica - da quando cioè avevo tirato fuori dal garage la mia vecchia mountain bike (ora vive in una cooperativa agricola) - e mi divertivo con i rottami trovati per strada. Pochi giorni dopo quel primo post vivevo l'esperienza esaltante della Ciemmona, che avevo conosciuto grazie a un illuminato docente di scuola secondaria, il mio amico Massimo, giustamente molto amato dai suoi studenti. Quindi non è vero che Rotazioni è durato esattamente 5 anni, secondo una logica sovietica di пятилетка, ossia di piano quinquennale, con cui avevo cercato di ingabbiarlo. Quelli non erano cinque anni esatti; questi, fra un blog e l'altro, sono invece sette anni tondi, e mi garba fare ora un bilancio. 

State leggendo l'878° post di Rotazioni Lab, compresi i post dell'amico Emanuele di Milano, che ringrazio per i suoi contributi sempre colti e puntuali. Sul precedente blog, Rotazioni, vennero pubblicati in tutto 2204 post, tuttora letti. In certi giorni viene visitato più Rotazioni che Rotazioni Lab.

Contrariamente a quanto si possa pensare, il Paese in cui Rotazioni Lab viene maggiormente letto non è l'Italia, ma gli Stati Uniti. Questo, devo dire, mi fa sentire molto all'avanguardia. Amesso che la NSA guardi il mio blog, in quanto veicolo di sovversione e destabilizzazione, dalle statistiche risulta che la maggior parte dei miei lettori risiede Oltreatlantico. Questo mi invoglia ancor di più a emigrare in America, detto francamente. 
Se non facessi pasticci con l'inglese scritto, scriverei questo blog in inglese: sarebbe anche un modo per fare pressione sui governanti nostrani, mettendoli alla berlina con i potenziali turisti. E anche per inserirsi in discorsi più internazionali, che in Italia fanno solo venire il latte alle ginocchia. Chissà, forse un giorno...Invece il vecchio blog Rotazioni è visitato soprattutto dall'Italia e continua a essere consultato, specialmente per la ricerca di consigli tecnici. Nel Rotazioni Lab vengono letti soprattutto i post "d'autore", quelli cioè scritti da me, più che le notizie copia-incolla, che a volte giro a mo' di sottolineatura mediatica, poiché mi sembrano importanti.

(A proposito, per questa occasione ho scritto il seguente testo. Una forma di glasnost (altri scongelamenti succosi seguiranno). S'intitola "Perché questo blog". Eccolo: Rotazioni Lab è il blog di Luca Conti (Roma, 1965) e fa seguito a Rotazioni (blog di ciclismo urbano, 12/9/2007 [la data è sbagliata, ovviamente]- 12/9/2012). È anche un luogo fisico, abbastanza segreto e inevitabilmente privato - una specie di cabinet, un luogo in cui laboratorio e magazzino agiscono come due polarità distinte, in una dialettica perenne tra spazi di lavoro, ideazione, progetti e disposizione-conservazione-selezione di materiali o oggetti più o meno compiuti - in genere biciclette e altri mezzi a ruote, lampade, progetti, sculture, rottami.Dopo il passaggio al nuovo blog, rimangono in auge gli spostamenti in bici, le questioni della mobilità ciclabile e pedonale. Oltre ai percorsi consueti, ci sono tante occasioni per sperimentare sul territorio di Roma (principalmente) la deriva psicogeografica alla maniera dei Situazionisti francesi. Ma inevitabilmente gli interessi cambiano, si arricchiscono e riemergono vecchie passioni.).  

In questi anni, molte cose sono cambiate. Sul fronte delle bici, innanzitutto. È più difficile oggi trovare un vecchio ciclo nel cassonetto, i prezzi dei componenti - complice la febbre del vintage, dell'Eroica, ecc. -  sono cresciuti, prima erano solo vecchi componenti, adesso si deve faticare un po' di più a trovarli a prezzi accettabili. Ma sono in commercio tanti componenti di buona qualità a prezzi ragionevoli, per cui il vintage in un certo senso può anche andare a quel paese, per quanto mi riguarda. E bici vecchie buttate se ne trovano ancora, magari hanno solo le ruote sgonfie, come mi è capitato recentemente con una bici da passeggio da donna da 24".
Devo dire che in questi anni ho regalato e ricevuto in regalo vari telai e bici, senza stare troppo a pensare al loro valore. Devo ringraziare in particolare un altro Massimo - che quando lavorava faceva il tecnico di volo e il pilota - il quale mi ha regalato varie bici e mi ha anche allertato sulla presenza di telai e cicli presso cassonetti.

Le bici che una volta assemblavamo a partire da telai d'acciaio adesso sono tremendamente simili a quelle messe in vendita presso piccoli e grandi produttori. Adesso si cura molto l'aspetto estetico, la verniciatura. I prezzi salgono, ma c'è chi le compra. Va bene così: vuol dire che le bici d'acciaio godono di ottima salute. Con tutte le loro stronzate di cerchioni a profilo alto di legno violetto con copertone viola.
Qualche idea l'ho data anch'io al mondo mediatico e commerciale, ma fa parte del gioco (certo non pensavo che non potesse succedere).

Sul fronte della 'raccolta', ovvero del 'reperimento materiali', ossia il fatto di trovare per strada cose interessanti, devo dire che negli ultimi 4-5 anni c'è stato un vero e proprio crollo. I competitors stranieri si sono attrezzati notevolmente e la loro mobilità sul territorio, anche in bicicletta, fa sì che le nostre possibilità di serendipità, o incontro casuale con oggetti di interesse, in specie quelli metallici, si riduca notevolmente. Dotati non più soltanto di un gancio fatto col fil di ferro, ma muniti di passeggino, con faretto al led sulla fronte, il competitor ormai porta via tutto, e velocemente. Eppure, lampade, cassette di ferro, tavole di multistrato, bici intere e rotte si possono ancora incontrare, e l'unico vero ostacolo è semmai il loro stoccaggio in uno spazio troppo esiguo. Il Rotazioni Lab, per la mancanza di donazioni e di politiche governative lungimiranti, non può essere ampliato.

Sul fronte della mobilità ciclistica, invece, non è cambiato niente. Parliamo dei politici, delle amministrazioni locali. A parte qualche sforzo isolato, ci continuano a prendere in giro. Se uno vuole ancora partecipare ai "tavoli", faccia come crede, ma fa una figura da scemo. L'unica buona notizia è che i ciclisti sono aumentati. Ho sostenuto, a partire dal 2007, qualche battaglia a favore della mobilità ciclistica, in varie forme: nell'allora Municipio XIX di Roma, poi con la ciclofficina popolare dell'Ex Lavanderia (per 4 anni), con un libro - Manuale di resistenza del ciclista urbano, edito da Edicilo, e infine con i primi due anni di attività di Salvaiciclisti, intervenendo anche in dibattiti dal vivo, alla tv e alla radio.

Sul fronte degli amici, parecchie persone che conosco hanno cominciato a lavorare nel settore della bicicletta, con grosse soddisfazioni, trovando finalmente un lavoro oppure abbandonando carriere incerte o poco gratificanti. Altri hanno sviluppato conoscenze e attitudini che li metterebbero nella condizione di lavorare altrettanto bene. Sarei molto tentato di seguirli per questa strada, non so ancora come. È uno dei miei crucci attuali (qui siamo alla glasnot confessionale).

Gli interessi cambiano, le strade intraprese si arricchiscono di nuovi contributi. Per me, decisamente, l'arte, la maker culture, la psicogeografia, hanno circonfuso la sfera della bici e della mobilità di nuove prospettive, fino al situazionismo più estremo. D'altra parte, non penso che un cambiamento politico sia possibile sul fronte della mobilità ciclistica. Si tratta di un tema troppo secondario per le istituzioni: basta guardare alla totale disattenzione dell'attuale sindaco di Roma per questo tema, dopo i proclami iniziali. E il continuo uso strumentale della bici in ogni discorso che riguarda la mobilità, l'inquinamento, la salute dei cittadini. La bicicletta viene tirata in ballo sempre per far bella figura, per discorsi vaghi, finanche per varare leggi inapplicate, per poi progettarne altre che ripetono le stesse cose, ecc.
Dicono che forse entro il 2300 d. C. si pregeranno di sostituire nel Codice della strada italiano il termine 'velocipede' con quello più conosciuto di 'bicicletta'.
Pochi giorni fa, un'associazione di consumatori ha parlato di incentivare le piste ciclabili a Roma, nel momento in cui si paventa un aumento della tariffa per i parcheggi a pagamento nel centro a 1.5 euro. Tutti favorevoli alla ciclabilità, quando fa comodo e in realtà si parla d'altro.
In Italia abbiamo il grande vantaggio, paradossale, di essere arretratissimi in tema di mobilità ciclistica, per cui non avremmo che l'imbarazzo della scelta nel copiare gli altri. Come diceva di recente uno stimato ingegnere che usa la bici per spostarsi, basterebbe leggersi i manuali sulla mobilità ciclabile pubblicati in Svizzera, che sono disponibili anche in italiano, quindi non ci si deve prendere neanche la briga di tradurre. Ma non c'è niente da fare. "Questo Paese sta affondando nella melma", ha detto recentemente Rotafixa, in un'intervista esclusiva concessa a Rotazioni Lab. Condivido questo stato d'animo, che peraltro è generalizzato, nel comportamento delle persone, nella mancanza di prospettive per larga parte della società civile, quella giovane, lo sbraco totale, fuga dei cervelli, niente pensione, nessuna prospettiva, ma in italia si mangia bene, ecc.

Se nel nostro Paese una riforma in senso ciclabile è impossibile - ed è evidente anche a chi va a sedersi ai "tavoli", che crescono a dismisura perripetere sempre le stese cose - penso invece che la rivoluzione sia possibile.Questa è una rivoluzione di singole persone che decidono di mettersi in strada in bicicletta, per vari motivi. Persone che hanno rotto il Matrix automobilistico a cui questa società ci condanna fin dalla nascita. Quel che ho scritto un po' di tempo fa, mi pare valga ancora: lo trovate.nel post di Rotazioni, è il post Ciclismo urbano ieri pomeriggio e altro. Lo riporto integralmente alla fine di questo articolo.

Non c'è motivo per sperare che la mobilità ciclistica faccia eccezione allo scenario attuale, quanto pure sarebbe possibile un rilancio fenomenale sulla mobilità, fatte salve le solite eccezioni che tali restano. L'unica eccezione la fanno le persone che individualmente scelgono la bici per spostarsi: come puntini illuminati, si muovono sulle mappe impossibili di queste città, trovando la loro strada, tracciando i loro percorsi nei sentieri di un parco, sui marciapiedi di un grande viale, per un pezzetto contromano che ti dà una mano, caricandosi in spalla la bici nei sottopassaggi, passando su strade impercorribili, e anche comprando oggetti inguardabili a motore (m.g.p.: mio giudizio personale) che però li fanno camminare e spostare meglio.Dicono agli altri: si può andare a scuola in bici, si può portare il computer appresso, si può pedalare quando piove, quando fa freddo. Si può, si può. E va bene, diciamolo. Anche fra i ciclisti ci sono gli esaltati. Magari è gente che ha appena scoperto l'ebbrezza della pedalata, che ha verificato che le gambe ripondono. Comunque, quei pochi esaltati non inquinano e sono molto meno pericolosi dei mezzi a motore.
   
Campo Imperatore (AQ), in una giornata un po' particolare sul Gran Sasso

Ciclismo urbano ieri pomeriggio e altro 

Ieri pedalavo su Sabrina, luce dei miei occhi, per il quartiere Prati, in procinto di aggredire la salita che porta a Monte Mario. Nello zaino avevo dei vestiti, attrezzi vari, una bottiglia di vino, un chilo di carne e 6 uova. Quindi un senso di peso e fragilità, condito dagli scricchiolii di Sabrina, che ha bisogno di una revisione, ma che si comporta comunque benissimo.
Mi ha colpito la quantità di gente che va in giro in bici per Roma. Una signora con il figlio su via Andrea Doria. Un signore con una bici scassatissima che trasportava una piccola bombola di gas nel cestino. Due signore eleganti, un sacco di ragazzi e ragazze. Un ragazzo d'origine cinese andava come un treno sulla sua city bike.

Una realtà che il Comune di Roma continua a ignorare, ma che cresce di giorno in giorno. Mi piacerebbe un sacco sapere come passano le giornate all'Ufficio biciclette del Comune, che cosa c'è sul loro tavolo, di cosa parlano nelle riunioni. Ho imboccato viale delle Medaglie d'oro, mentre le auto facevano il solito accelera-frena-accelera-frena, e non volevano proprio accettare il fatto di essere temporaneamente sorpassate da una bici priva di rapporti e da un individuo a dir poco pittoresco con uno zaino ingombrante in spalla, che faticava e che però si divertiva, mentre loro né faticavano né si divertivano, anzi si innervosivano e i quattro salti in padella e il gelato confezionato facevano su e giù nell'intestino. Intanto il prezzo del petrolio saliva (oggi a 105,78 al barile, benzina a 1,5 euro, tanto aumenta lo stesso anche se il petrolio non sale o addirittura scende), perché oggi, ti spiegano, il petrolio fa andare avanti il mondo e ci si preoccupa ipocritamente della Libia che chiude i rubinetti mentre migliaia di persone vengono fatte a pezzi dall'artiglieria e, ancora molto cinicamente, ci si preoccupa dei rifugiati che arriveranno sulle nostre coste (dicono 300 mila, ma saranno ovviamente di più) e con grande faccia di bronzo si apre il comitato d'emergenza all'opposizione, e l'opposizione acccetta, eccetera. Insomma, pensavo che la rivoluzione a pedali sta avvenendo davanti ai nostri occhi, perché le persone si sono stufate di passare ore in auto, altre ore a cercare un parcheggio, poi a cercare i soldi del parcheggio che scade e si prende la multa, ma non sempre (che sarebbe meglio a livello logico), ma solo qualche volta, quindi la multa è percepita come un agguato maligno, un sopruso, solo perché ci si era fermati sulle strisce pedonali e vari disabili erano tornati indietro a casa loro, disperati, a guardare la tv, incazzati neri contro questo mondo a misura di automobile che cancella i diritti elementari...

La rivoluzione a pedali si fa in due modi. Il primo è popolare, ossia ciò che sta accadendo, e presumibilmente si continuerà nella stessa direzione. Anche perché la seconda eventualità, che spiegherò più sotto, non pare essere all'ordine del giorno nelle metropoli italiane. Sempre più persone si stancano dell'attuale modo di vivere, delle due ore se va bene di traffico al giorno, dei livelli di colesterolo e zuccheri nel sangue, dell'impoverimento monetario che l'arbitrario prezzo della benzina impone. Si badi bene, che la maggior parte delle persone che oggi decidono di usare la bici non sono frequentatori abituali della Critical Mass o gagliardi giovani su bici a scatto fisso autocostruite, ma sono persone normali, comuni, che sembrano appena uscite da una Smart o da una NSU Prinz, di medie capacità fisiche, che si ingegnano a cercare una bici e a non farsela fregare, persone che hanno capito che l'uso della bici conviene perché la bici è più rapida, comoda, economica, salutare, intelligente, ecc.

E succede sempre più a persone di una certà età, che non si sospetterebbe mai possano cambiare abitudini così facilmente. Invece lo fanno, alla faccia delle multinazionali del petrolio e dell'automobile. Succede a persone con figli che dicono basta e non si torna indietro, che vendono l'automobile, la mandano a fare a pezzi dallo sfasciacarrozze, la mandano affanculo e imparano a spostarsi in un altro modo, oppure lo fanno part-time, ma risparmiano comunque un sacco di soldi. E qui bisognerebbe investire anche le assicurazioni di mezzi a motore che dovrebbero creare polizze assicurative a chilometraggio e far pagare un sacco di soldi ai proprietari di suv e di moto sopra una certa cilindrata. Penso che per i suv sarebbero giuste polizze assicurative sui 2000-3000 euro all'anno: tanto i proprietari sono ricchi, anzi si potrebbero vantare ancora di più del loro status del cazzo, tanto moriranno pure loro.

I suv inquinano e ingombrano sempre, ogni tanto uccidono. Infestano le nostre città, con sopra persone che pesano 60 Kg al telefono, mentre sterzano. E nessuno dice niente.

Pensare che i vigili urbani possano fare qualcosa è difficile: sono come tramortiti, a parte casi virtuosi locali. E sono pochi.
Io purtroppo non capisco bene a cosa servano oggi a Roma gli agenti della Polizia Municipale. Se almeno applicassero una volta ogni tanto, nei casi più evidenti, l'articolo 141 del Codice della strada che permettere di multare chiunque adotti uno stile di guida pericoloso per l'incolumità altrui.
Però recentemente qualche posto di blocco l'ho visto fare nella mia zona. A via Igea, da anni, si assiste a un perenne imbottigliamento causato dalle auto in seconda e terza fila. Ho letto che qualche giorno fa sono arrivate parecchie vetture della municipale a fare multe e a una hanno tranciato le ruote.

La seconda possibilità per innescare una rivoluzione ciclistica nelle città italiane sarebbe quella istituzionale. Lo accenno soltanto perché non vedo alcun segnale da parte del Comune di Roma, di Milano, di Napoli, di Palermo, di Torino in questa direzione. Con Firenze e Bologna stiamo già in una dimensione europea per quanto, mi rendo conto, questo aggettivo non significa quasi nulla in termini di ciclabilità, perché esistono situazioni e soluzioni molte diverse. Ma Roma è al livello dei Paesi meno progrediti del pianeta, dove peraltro ci sono pochi suv, e scooteroni quindi noi stiamo peggio.

Pensiamo a questo scenario così, per gioco. Il Comune di Roma stanzia, entro pochi anni, una parte importante del suo budget, ottenuto dalle multe, da quote regionali delle polizze assicurative dei Suv e degli scooteroni, ecc. a favore della mobilità debole: per primi i disabili, che oggi non possono muoversi di casa, poi i pedoni (anziani con i riflessi rallentati, per cui 50 Km/h sono troppi, mamme con bambini, ecc.), e a seguire i ciclisti.

Le istituzioni hanno sulla coscienza 3 milioni di disabili, obbligati a stare in casa perché il vigile invece di fare le multe agli incroci è impegnato in altre attività. 

Qualche giorno fa ho cercato di fermare, con gesti piuttosto concitati, un'automobile della Polizia Municipale di Roma, perché c'era un cartello stradale riverso per terra davanti alle strisce pedonali. Una serie di tondini di ferro spuntava dall'asfalto e il cartello era stato messo lì apposta, ma qualcuno lo aveva preso con l'auto o con il suo grosso culo. I vigili senza rallentare mi hanno guardato e non si sono fermati. Come succede in alcuni Paesi molto poveri.

Qualche settimana fa ho passato 6 ore e 25 minuti al pronto soccorso dell'ospedale San Filippo Neri (riposi in pace) soltanto per avere conferma di quello che già sapevo: una frattura dell'alluce.
Voi due che leggete i miei post avrete notato uno iato di due settimane. Era il periodo di convalescenza dell'alluce. E non ho pedalato. Ma appena mi sono fratturato sono tornato a casa in bici a scatto fisso, questo per evidenziare la serietà del sottoscritto: comunque con l'alluce rotto è più facile pedalare che camminare. Se uno si frattura l'alluce, il tuo datore di lavoro non ci crede, per principio: vogliono il certificato, quindi devi farti vedere da un medico che guarda l'alluce e cerca di assumere un volto in qualche modo professionale, ma non sa se è rotto, perché è rotto l'osso, mica la pelle, quindi ordina di farti una radiografia e alla fine, dopo altra attesa nell'ospedale pubblico, un altro medico, specializzato in ortopedia, ti dice quello che già sapevi, lo sapevi perché ti era caduto un mobiletto molto pesante sull'alluce e siccome non sei fatto di titanio, l'alluce ha fatto quello che doveva fare: s'è ROTTO. Poi, ovviamente, ti dicono che non si deve né si può ingessare, quindi te lo tieni così. E devi indossare un calzino, per mantenere l'alluce unito al resto delle dita, sennò potrebbe andare dove gli pare.
"E non metta quei sandali, per favore".
"Sì, ma li ho messi per stare più comodo, sennò mi fa male".
"Il piede deve essere protetto. Metta un po' di ghiaccio e lasci stare le creme".
Serietà e competenza, sì, ma 6 ore e 25 minuti. E in tanti anni di rischi, cadute, meccanica, autocostruzione, smucinamenti, rimestamenti, ecc. un alluce rotto ci sta pure, anzi il bilancio resta in attivo, e sempre grattandosi le palle.

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