«Il nostro amico Spimpi era il figlio del meccanico di biciclette che teneva anche il distributore in paese. Durante le vacanze, dopo pranzo, passavamo a prenderlo all'officina di suo padre per andare a giocare in campagna. Era l'ora in cui non bisognava fare chiasso, guai a far saltare una palla e a restare a rincorrerci per le strade del paese si rischiava una sgridata da dietro qualche tapparella abbassata. Ma un pomeriggio il papà di Spimpi disse vedendoci arrivare: "Marco non può venire con voi, deve lavorare!". Guardammo il nostro amico, seduto su un'incudine puntata per terra nella penombra della bottega. Lo interrogammo con lo sguardo: cos'era questa novità? Aveva dieci anni come noi, perché doveva lavorare? Di colpo ci assalì il timore che fosse giunta anche per noi l'ora di lavoraree che i nostri genitori fossero sulle nostre tracce perché proprio quel pomeriggio finiva l'infanzia, l'innocenza, la libertà e cominciava quella cosa di cui la maestra ci aveva parlato tanto. Era dunque così che andava. Si veniva catturati per strada senza preavviso e messi a lavorare»
da Diego Marani, Lavorare manca [racconto-saggio], Bompiani, Milano, 2014.
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