giovedì 12 giugno 2014

Diego Marani, Lavorare manca

«Il nostro amico Spimpi era il figlio del meccanico di biciclette che teneva anche il distributore in paese. Durante le vacanze, dopo pranzo, passavamo a prenderlo all'officina di suo padre per andare a giocare in campagna. Era l'ora in cui non bisognava fare chiasso, guai a far saltare una palla e a restare a rincorrerci per le strade  del paese si rischiava una sgridata da dietro qualche tapparella abbassata. Ma un pomeriggio il papà di Spimpi disse vedendoci arrivare: "Marco non può venire con voi, deve lavorare!". Guardammo il nostro amico, seduto su un'incudine puntata per terra nella penombra della bottega. Lo interrogammo con lo sguardo: cos'era questa novità? Aveva dieci anni come noi, perché doveva lavorare? Di colpo ci assalì il timore che fosse giunta anche per noi l'ora di lavoraree che i nostri genitori fossero sulle nostre tracce perché proprio quel pomeriggio finiva l'infanzia, l'innocenza, la libertà e cominciava quella cosa di cui la maestra ci aveva parlato tanto. Era dunque così che andava. Si veniva catturati per strada senza preavviso e messi a lavorare»

da Diego Marani, Lavorare manca [racconto-saggio], Bompiani, Milano, 2014.

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