giovedì 12 giugno 2014

Conquiste della mobilità

Fonte: La Stampa

Lupi frena Uber, vincono i tassisti

Il ministro si schiera: presto il decreto sul settore
I gestori dell’app: ma il mercato si è evoluto
 
MILANO
La battaglia per ora l’hanno vinta i tassisti milanesi. Dopo cinque giorni di sciopero selvaggio contro Uber, la app che consente alle auto a noleggio con conducente e pure ai privati di fare corse a pagamento come un normale taxi, le auto bianche milanesi ottengono quello che volevano da Governo, Regione e Comune. Il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi vola in Prefettura a Milano e dopo tre ore di riunione boccia la app attiva in mezzo mondo: «Tolleranza zero per chi viola la legge. Qualsiasi app o innovazione che eroghi un servizio pubblico non autorizzato compie un esercizio abusivo della professione». Un’altra stoccata finisce però alle auto bianche: «Finiscano le proteste. No all’interruzione di un servizio pubblico».
I tassisti promettono di tornare al lavoro. Davanti alla Prefettura sono in cinquecento. Su un lenzuolo hanno scritto a caratteri cubitali: «Uber spaccia nella Milano corrotta. Abusivi». Ma i nervi rimangono scoperti. Nei giorni scorsi alcune auto a noleggio con conducente sono finite nel mirino. I dirigenti di Uber presi a lanci di uova. Si capisce che la situazione deve ancora essere definita. Il ministro Lupi annuncia che si aprirà presso il dicastero delle Infrastrutture un tavolo che coinvolgerà anche la conferenza delle Regioni per discutere il decreto attuativo della legge di settore. Alla riunione in Prefettura Uber non viene invitata. La general manager Benedetta Arese Lucini non si piega né si spezza: «Entro settimana prossima presenteremo un nostro progetto. La normativa a cui si fa riferimento è stata sospesa in sede europea perché viola un principio liberale sulla circolazione».

La questione è cavillosa. Si discute tra modernità e conservazione dello strapotere dei tassisti, una lobby assai potente a Milano, ancora più potente ora che si avvicina il voto alle elezioni europee. Di app come Uber ce ne sono ovunque in mezzo mondo. Solo a Londra sono venti. Alla società vengono contestate le modalità del loro servizio che violerebbe alcune norme: le auto con conducente dovrebbero uscire sempre da una rimessa e non essere contattate per strada con uno smartphone, le tariffe dovrebbero essere predefinite e non a seconda del viaggio, ai privati dovrebbe essere vietato di diventare tassisti occasionali. La general manager di Uber promette di rispondere punto per punto: «Faremo sapere presto le nostre proposte. Tra app come la nostra e il car sharing il mercato della mobilità si è evoluto e tutti se ne devono fare una ragione».

Ma nel tavolo in Prefettura per ora vince la ragione dei tassisti milanesi che mal digeriscono concorrenza e libero mercato dopo aver speso fino a 200 mila euro per una licenza. Il Governatore Roberto Maroni sta dalla loro parte senza se e senza ma: «La normativa vigente non consente l’uso dell’app Uberpop». Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia usa parole rotonde: «Non siamo né contro una app né contro l’innovazione ma siamo contro l’illegalità da qualsiasi parte provenga. Se si usa l’app in maniera illecita si mette a rischio l’utenza ». Allora questa battaglia la vincono i taxi. Ma si capisce che la guerra sarà ancora lunga. Alla fine l’unica ad avere i toni meno accesi è la general manager di Uber: «Non nascondiamo che all’inizio abbiamo avuti problemi anche in altre città. Ma poi ci siamo seduti attorno a un tavolo».

Ed è quello che faranno quando sarà pronta la loro controproposta. Si capisce che non vogliono rinunciare ad offrire questo servizio ad una piazza golosa come Milano in vista di Expo 2015. La general manager di Uber vuole essere chiara: «Noi siamo un servizio complementare. In alcune città la nostra app funziona pure per i taxi. Sarebbe un peccato se i 7 o 8 milioni di visitatori stranieri che verranno a Milano l’anno prossimo per Expo non potessero usare la app Uber che hanno sugli smartphone e che funziona in tutto il mondo. Alla fine sarebbe giusto che a decidere fossero i cittadini». 

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