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FIAB.
Mercoledì, 12 Febbraio 2014 06:24
Qualche
giorno fa l’avv. Jacopo Michi, nostro socio fiorentino, ha
scritto al Presidente dell'ACI, in merito alle affermazioni riportate
dal quotidiano Repubblica, ricevendo una sollecita e garbata risposta.
Poichè si discute su numeri e incidentalità, Michi ha chiesto un parere all’Ing. Edoardo Galatola, responsabile sicurezza FIAB, che ha ritenuto utile rispondere di persona al Presidente dell’ACI.
Rendiamo pubblico questo “carteggio” sottolineando con piacere una nota positiva. Nonostante le diverse posizioni, Angelo Sticchi Damiani concorda sulla necessità di ripensare e rimodellare l’ambiente urbano, aprendo ad un dialogo costruttivo con FIAB.
Per cominciare, l’abbiamo invitato a partecipare al seminario di venerdì 14 febbraio a Montecitorio su politiche europee per la ciclabilità e modifiche legislative.
Poichè si discute su numeri e incidentalità, Michi ha chiesto un parere all’Ing. Edoardo Galatola, responsabile sicurezza FIAB, che ha ritenuto utile rispondere di persona al Presidente dell’ACI.
Rendiamo pubblico questo “carteggio” sottolineando con piacere una nota positiva. Nonostante le diverse posizioni, Angelo Sticchi Damiani concorda sulla necessità di ripensare e rimodellare l’ambiente urbano, aprendo ad un dialogo costruttivo con FIAB.
Per cominciare, l’abbiamo invitato a partecipare al seminario di venerdì 14 febbraio a Montecitorio su politiche europee per la ciclabilità e modifiche legislative.
La risposta del
Presidente dell’ACI all’avvocato Jacopo Michi
Pregiatissimo
Avvocato,
ho letto con
attenzione i Suoi commenti alla mia intervista a "La Repubblica" sulla
possibilità di concedere ai ciclisti la facoltà di andare contromano sulle
strade urbane. Pur comprendendo le perplessità assunte in difesa della
categoria rappresentata dalla Federazione Italiana Amici delle Biciclette, mi
sento il dovere di confortarLa sul fatto che ogni mia azione — prima ancora che
ogni mia parola — si basa sull'analisi dei numeri: sono ingegnere da 44 anni e
non riesco a concepire modo diverso di comportamento o di pensiero.
Come
presidente dell'Automobile Club d'Italia, Le evidenzio inoltre che i più
autorevoli studi internazionali, tra cui il Rapporto ACI-ISTAT sugli incidenti
stradali in Italia e in Europa, sottolineano che:
- il rischio
di mortalità in bicicletta è più del doppio di quello delle autovetture;
- una
bicicletta circolante su strade aperte al traffico ha una probabilità di
incorrere in un incidente 8 volte superiore rispetto a un'automobile;
- il
50% degli incidenti che coinvolgono un velocipede sono imputabili al
comportamento scorretto del ciclista (guida distratta, mancato rispetto della
segnaletica, manovre irregolari, guida contromano).
Della
possibilità per le biciclette di circolare contromano si discute da tanto
tempo. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha diramato già nel
2011 una circolare (prot. n. 6234 del 21 dicembre, a firma del Direttore
Generale, ing. Sergio Dondolini) sulla circolazione delle biciclette contromano
nelle cosiddette "zone 30", ponendo però alcune condizioni
inderogabili come lo scarso volume di traffico e un'ampiezza minima della
strada pari a 4,25 metri.
Chiunque giri quotidianamente sulle strade urbane italiane sa bene quanto tali
condizioni siano difficilmente realizzabili, non soltanto per la considerevole
congestione veicolare. Il gran numero di veicoli in sosta a bordo strada
restringe notevolmente lo spazio vitale per la circolazione stradale e riduce
in modo pericoloso la visuale per chiunque conduca un veicolo, sia a due che a
quattro ruote.
Alla luce di
tutto ciò, pensare ancora di pedalare contromano mi sembra davvero un
controsenso. Non soltanto per il legislatore, ma soprattutto per chiunque
circoli responsabilmente su strada, in auto come in bicicletta.
Questa
convinzione è suffragata anche dalla mia esperienza di ingegnere applicata
all'urbanistica e ai trasporti. Basta guardare proprio ai modelli di mobilità
in Europa che Lei cita per cogliere l'impossibilità di una loro replica tout court nei nostri centri
urbani. E' infatti evidente che la maggior parte delle "zone 30" di
molte città straniere presentano caratteristiche strutturali profondamente
diverse dalle realtà italiane: i pochi automobilisti che vi transitano
percepiscono subito di essere in uno spazio dove la precedeva spetta alle
cosiddette "utenze vulnerabili", che come tali sono appunto protette
in queste aree dove il traffico motorizzato è "tollerato" ma
fortemente circoscritto con restringimenti della sezione stradale, cambi di
direzione, sopraelevazioni della carreggiata e dei passaggi pedonali, riduzione
al minimo della segnaletica stradale.
Il nostro
ambiente urbano va quindi totalmente ripensato e rimodellato per essere davvero
sostenibile, non solo da un punto di vista ecologico ma anche - e soprattutto -
da un punto di vista economico e sociale. Non a caso il 70% degli incidenti
stradali avviene in città: basta questo dato ad evidenziare il fabbisogno di
sicurezza stradale del Paese. Guardando al futuro, dobbiamo intraprendere un
percorso di sviluppo dei nostri centri urbani perseguendo logiche ed esperienze
di smart city, che certo non si applicano agendo solo sulle regole di
circolazione. Ridisegniamo prima le città e poi adatteremo di conseguenza il
Codice della Strada.
L'Automobile
Club d'Italia e tutte le sue strutture nazionali e locali collaborano da oltre
100 anni con le Istituzioni del Paese in un insieme di sinergie sistemiche per
una mobilità più sicura ed efficiente. Saremmo ben lieti di avviare un
confronto costruttivo e propositivo anche con la Federazione Italiana
Amici della Bicicletta. Spero quindi di risentirLa presto.
Con i più
cordiali saluti
Angelo
Sticchi Damiani
Presidente
dell’ACI – Automobile Club d’Italia
La risposta di
Edoardo Galatola al Presidente dell'ACI
Gentile Ing.
Sticchi Damiani,
l’Avv. Jacopo
Michi ha condiviso lo scambio epistolare tra voi avvenuto invitandomi, in
qualità di responsabile sicurezza FIAB, a intervenire.
Ho apprezzato
molto le Sue note per la cortesia della sollecita risposta ed i modi garbati
dell'esposizione. Per cui intervengo volentieri rispondendo ad alcune sue
sollecitazioni.
Il mondo
degli utenti della bicicletta è in effetti estremamente vasto, comprendendo tutti
gli strati sociali e tutte le professioni (anche i piloti di formula uno!) per
cui ho la ventura di essere ingegnere anch'io e nella fattispecie di occuparmi
professionalmente di analisi di rischio da 30 anni.
Non posso
quindi che trovarmi pienamente d'accordo con Lei nell’affrontare l'argomento
scientificamente e con l'ausilio dei numeri, trattandosi di un problema
culturale per cui è da rifuggire qualsiasi tentazione di difesa corporativa, da
qualsiasi parte provenga.
Come Lei mi
insegna ai numeri si può far dire qualsiasi cosa, per cui è fondamentale
definire prima il campo di applicazione.
Intanto una
prima osservazione di carattere generale. L’impostazione da lei fornita indica
il seguente assunto: poiché andare in bicicletta è più pericoloso che andare in
automobile, ne consegue che occorre limitarne l’uso. Questa osservazione (che
potrebbe essere estesa anche allo spostamento pedonale per gli stessi motivi)
oltre che politicamente poco sostenibile, ha anche una forte debolezza nel non
precisare in quali condizioni si consideri più pericoloso andare in bici. È
evidente che pedalare in autostrada implicherebbe un rischio elevatissimo e
inaccettabile, mentre, di converso, questo non sarebbe assolutamente vero in
una ZTL.
Diventa
quindi utile affrontare le singole enunciazioni, partendo come base informativa
dagli stessi studi che Lei cita.
“Il
rischio di mortalità in bicicletta è più del doppio di quello delle
autovetture”
Il dato che
Lei cita a proposito del rischio doppio in bici in bici rispetto all’auto si
riferisce certamente all’indice di mortalità (rapporto tra numero dei
morti su un mezzo rispetto al numero degli incidenti in cui quel mezzo è
coinvolto), ovvero (sempre da fonte Istat 2012) 1,62 per le bici e 0,71 per le
auto (per inciso 2,46 per i pedoni e 1,74 per i motocicli). Traducendo: a
parità di incidente se si scontrano un’auto e una bici, la bici ha la peggio
(un discorso del tutto analogo vale per i pedoni). Non ci voleva un genio per
scoprirlo. In realtà questo dato è incompleto e fuorviante, perché per
calcolare il rischio individuale occorre tener conto anche del numero di
incidenti occorsi e della velocità di impatto. Infatti le conseguenze cambiano
in funzione della velocità; in uno scontro a 50 km/h la mortalità è del
50%, mentre già a 30 km/h
la probabilità scende al di sotto del 10% fino ad essere paragonabile al
rischio di caduta del ciclista o del pedone da solo. Quindi in una Zona 30 dove
diminuiscono gli incidenti (vedi quanto precisato nei successivi capoversi) e si
riducono le velocità l’assunto non ha più ragion d’essere.
“Una
bicicletta circolante su strade aperte al traffico ha una probabilità di
incorrere in un incidente 8 volte superiore rispetto a un'automobile”
L’affermazione
in oggetto è di più dubbia analisi. Probabilmente vuole riferirsi ai morti per
passeggero*km percorso; questo dato però non è fornito dalle statistiche
ACI-ISTAT (in particolar modo per la mancata rilevazione dei km percorsi da
parte delle biciclette, anche che è un’informazione che sarebbe opportuno
analizzare sistematicamente), ma risulta in netto miglioramento per il costante
incremento dei km percorsi in bici a fronte di una leggera riduzione (12% negli
ultimi dieci anni) dell’incidentalità. In realtà occorre tener presente la significativa
differenza dei km percorsi in bici e in auto da ogni utente per spostamento,
per cui è più rigoroso riferirsi alla composizione modale degli spostamenti per
un’analisi comparata. Basandosi sui dati ISFORT più recenti possiamo assumere
un 4-5% di modal split ciclistico a fronte di un 65% automobilistico. Poiché
nel 2012 si sono verificati 230.184 incidenti coinvolgenti
autovetture (66% del totale) e 17.885 coinvolgenti biciclette (5,2%), se
gli spostamenti in bici raggiungessero quelli in auto a parità di incidentalità
(e si sa che invece l’incidentalità diminuirebbe) gli incidenti in bici
equivalenti sarebbero 17.885*65/5 = 232.505, esattamente gli stessi di quelli
in auto. Ne consegue che la probabilità di essere coinvolti in un incidente
sarebbe esattamente la stessa per auto e bici. Se poi si considera che il 75%
di incidenti alle auto avviene in città risulta che probabilmente è vero il
contrario, ovvero che è più probabile incorrere in un incidente in macchina che
in bici.
“Il 50% degli
incidenti che coinvolgono un velocipede sono imputabili al comportamento
scorretto del ciclista (guida distratta, mancato rispetto della segnaletica,
manovre irregolari, guida contromano)”
Anche
l’affermazione per cui il 50% degli incidenti ai ciclisti è imputabile al loro
comportamento scorretto è piuttosto generica e imprecisa, per come sono fatti i
verbali. Assumendo però per buono il dato occorre osservare che il 40% degli
incidenti ai ciclisti (ovviamente non quelli gravi) avviene per caduta da solo
(dato ricavato dal rapporto sull’incidentalità della Provincia di Milano e
Osservatorio Utenze deboli). In questi incidenti, ovviamente, la colpa è sempre
(o quasi) del ciclista. Quindi solo il 10% degli incidenti con altri veicoli
vede la colpa dei ciclisti. È evidente l’assunto è semplicistico, ma vuole solo
evidenziare che trattasi di un falso dato, rilevante solo per il suo impatto
mediatico. Infatti gli incidenti sono sempre generati da un errore ed occorre
fare in modo che anche a seguito di errori le conseguenze restino limitate.
Analizzando i
numeri, pertanto, l’acclarata pericolosità dell’andare in bici tale da doverne
limitare l’uso non risulta.
Anzi, come
dimostrato da studi statistici effettuati, è vero il contrario. Jacobsen, Inj
Prev 2003;9(3):205-9, ha
calcolato che raddoppiando il numero dei ciclisti in strada il rischio
individuale per km si riduce del 34% mentre se i ciclisti si dimezzano il
rischio aumenta del 52%. Questi dati trovano riscontro nella riduzione di
incidentalità complessiva registrata in tutti i paesi ad elevata mobilità
ciclistica (posso essere molto più dettagliato in merito), in particolare
quando il modal split supera il 15% del totale.
A tal
proposito è bene approfondire l’utilità delle Zone 30, la cui efficacia pare
essere messa in dubbio allorquando si dice che, in particolar modo per il
controsenso, occorre porre indicazioni di forte limitazione richiedendo scarso
volume di traffico e ampiezza minima di 4.25 m. Queste limitazioni non trovano ragione
d’essere. Infatti è possibile citare in merito il più autorevole studio sinora
prodotto, “Effetto dell’introduzione delle Zone 30 (20mph) sugli incidenti
stradali a Londra, dal 1986 al 2006: analisi della serie di dati”, Chris
Grundy e altri, 10 dicembre 2009, BMJ 2009;339:b4469 per cui l’introduzione
delle zone 30 ha
dimezzato gli incidenti (-42% per la precisione) e più che dimezzato morti,
feriti gravi e incidenti ai bambini più piccoli. Tutto ciò avendo consentito la
percorrenza controsenso in condizioni di velocità massima ridotta.
Quanto
all’affermazione per cui le zone 30 di altri paesi sarebbero decisamente
migliori di quelle italiane, me la sarei aspettata da un articolista dello
“Spiegel” piuttosto che dal più autorevole rappresentante della mobilità
motoristica italiana; già “die Zeit” a novembre 2013 (Italiens Regierung will
Autos aus den Städten verdrängen) titolava sulla positiva rivoluzione della
mobilità in atto in Italia.
Il nostro è
un paese con capacità ed energie che sempre emergono quando le si ritengono
necessarie. L’esempio della rivoluzione del divieto di fumare, applicata dal
nostro paese immediatamente nella sua interezza sta lì a dimostrarlo.
Per
concludere mi trovo pertanto in totale accordo con la Sua affermazione circa
l’importanza di ripensare e rimodellare l’ambiente urbano, mentre dissento
dall’assunto “prima cambiamo le città e poi il Codice” dato che sarebbe un
incentivo a mantenere lo status quo.
Da quanto
brevemente dissertato, proprio con la forza dei numeri, è possibile affermare
che le modifiche si possono intraprendere da subito, che gli interventi di
facilitazione per l’utenza non motorizzata saranno una spinta per un sensibile
miglioramento della vivibilità delle nostre città (il modello rinascimentale ci
è invidiato da tutto il mondo) con sensibili miglioramenti per la sicurezza
degli spostamenti di tutti.
Tutto ciò nel
rispetto reciproco di tutti gli utenti della strada; per cui anche noi saremo
ben lieti di continuare confronto e collaborazione con l’autorevole
Organizzazione da Lei presieduta.
Voglia
pertanto gradire i migliori saluti. Cordialmente
Edoardo Galatola
Responsabile sicurezza e ufficio legislativo FIAB
Responsabile sicurezza e ufficio legislativo FIAB
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