Comunicato Legambiente
           Business miliardari con introiti enormi per le aziende e scarsissimi ritorni per 
le Regioni
Enorme 
impatto ambientale e alti costi per i consumatori
In 
occasione della giornata mondiale dell’acqua (22 
marzo)
Legambiente 
e Altreconomia presentano “Acqua in bottiglia”
Il 
dossier che svela tutte le pecche di un vizio tutto 
italiano
Un 
giro d’affari pari a 2,25 miliardi di euro che riguarda 168 società per 304 
diverse marche commerciali; l’uso di oltre 6 miliardi di bottiglie di plastica 
prodotte utilizzando 456 mila tonnellate di petrolio, che determinano 
l’immissione in atmosfera di oltre 1,2 milioni di tonnellate di 
CO2: 
c’è un vero e proprio business dentro una bottiglia d’acqua. L’abitudine tutta 
italiana di preferire l’acqua in bottiglia a quella del rubinetto innesca, 
infatti, un meccanismo economico che porta immensi guadagni alle aziende 
imbottigliatrici e un’enorme consumo di risorse per il Paese, oltre ad alti 
livelli di inquinamento indotto e consumo di risorse.
Nel 2011 i consumi di acqua sono aumentati rispetto 
all’anno precedente, passando da 186 a 188 litri per abitante ALL'ANNO, numeri che 
confermano il primato europeo del nostro paese per i consumi di acque 
minerali: dei 12,350 miliardi di litri imbottigliati nel solo 2011, oltre 
11,320 miliardi sono stati consumati dentro i confini nazionali. Senza 
dimenticare che ancora oggi solo un terzo delle bottiglie viene avviato 
correttamente al riciclo, mentre la gran parte continua a finire in 
discarica o ad essere dispersa nell’ambiente e che per l’85% dei carichi si 
continua a preferire il trasporto su gomma. Questo vuol dire che una bottiglia 
d’acqua che proviene dalle Alpi percorre oltre 1000 km per arrivare in Puglia, 
con consumi di carburante e emissioni di sostanze inquinanti conseguenti. 
Cifre che potrebbero aumentare visto che l’affare delle acque in bottiglia 
continua ad essere molto vantaggioso per le società che lo gestiscono. 
Infatti, i canoni richiesti dalle Regioni per le concessioni sono, in molti 
casi, risibili, come nel caso della Liguria che chiede solo 5 euro per ciascun 
ettaro dato in concessione, senza prendere in considerazione i volumi emunti 
o imbottigliati, e incassando appena 3.300 
euro all’anno per le 5 concessioni attive sul territorio.
Ricordiamo che sui canoni di concessioni è intervenuta, 
già nel 2006, la Conferenza Stato-Regioni, provando a mettere ordine nel settore 
con un documento di indirizzo che proponeva di uniformare i canoni su tutto il 
territorio nazionale, prevedendo l’obbligo di pagare sia in funzione degli 
ettari dati in concessione che per i volumi emunti o imbottigliati, indicando 
come cifre di riferimento almeno 30 euro per ettaro e un importo tra 1 e 2,5 
euro per m3 imbottigliato. Nonostante ciò, a sette anni dall’approvazione di 
tale documento, la situazione è ancora caotica e  indefinita, come evidenzia il dossier di 
Legambiente e Altreconomia presentato oggi, che divide le Regioni e le 
Province autonome in promosse, 
promosse con riserva, rimandate e bocciate, sulla base dei canoni richiesti, tutte 
comunque accomunate dalla medesima peculiarità, per cui le condizioni sono 
sempre molto più vantaggiose per le società che imbottigliano l’acqua che per le 
Amministrazioni. Nel dettaglio, l’unica Regione promossa nella classifica di 
Legambiente e Altreconomia è il Lazio che prevede un triplo 
canone, in funzione degli ettari dati in concessione (65 euro), dei volumi 
emunti (1 euro/metrocubo) e di quelli imbottigliati (2,17 euro a metro cubo), 
mentre 10 Regioni (Calabria, 
Friuli 
Venezia Giulia, 
Lombardia, Marche, Sicilia, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto e  Provincia autonoma di Trento) sono state 
promosse con riserva perché prevedono il doppio canone 
(volume + superficie) secondo le linee guida nazionali, con canoni per i volumi 
imbottigliati o emunti tra 1 e 1,50 euro per metro cubo. Seguono 
poi 4 
Regioni rimandate che, pur 
prevedendo un canone in funzione dei volumi imbottigliati, applicano ancora 
importi inferiori a 1 euro per metro cubo, in disaccordo con le linee guida 
nazionali: Basilicata, Campania, 
Piemonte Abruzzo. Infine, la Provincia 
autonoma di Bolzano, l’Emilia Romagna, la Liguria, il Molise, la 
Puglia e la Sardegna risultano inderogabilmente bocciate perché 
adottano i criteri solo in funzione degli ettari dati in concessione o delle 
portate derivate.
“Da Nord a Sud, sono ancora troppe le Regioni che non si 
sono ancora dotate di adeguati meccanismi per far pagare un canone equo alle 
aziende che imbottigliano – ha dichiarato Pietro Raitano, direttore di 
Altreconomia -. In tempi di crisi economica, il beneficio sarebbe importante per 
tutto il Paese, perché aumenterebbe le entrate senza intaccare posti di lavoro 
ma semmai contribuendo a processi economici più sostenibili. Processi che 
tuttavia hanno bisogno ancora di un costante impegno informativo, che noi di 
Altreconomia e Legambiente perseguiamo ormai da 7 anni”. 
“Da questa situazione emerge un’unica certezza: le 
Società che imbottigliano l’acqua continuano ad avere elevatissimi vantaggi 
economici. Degli oltre 2,25 miliardi di euro di affari incassati nel solo 2011, 
il ritorno economico per Comuni, Province o Regioni è stato assolutamente 
irrisorio, nonostante la risorsa alla base del profitto sia un bene comune che 
appartiene alla collettività – ha sottolineato il responsabile scientifico di 
Legambiente Giorgi Zampetti -.  Se invece si applicasse un canone uniforme e 
soprattutto più elevato, come i 10 euro al metro cubo, proposti più volte da 
Legambiente, si arriverebbe ad avere degli introiti molto maggiori da vincolare 
a investimenti sul territorio riguardanti la tutela degli ecosistemi acquatici”. 
Con queste cifre, per esempio, la Liguria potrebbe 
incassare oltre 1,250 milioni di euro. La Basilicata passerebbe dagli attuali 
323.464 euro a 9,2 milioni di euro, la Sardegna dagli attuali 39.464 salirebbe a 
2,5 milioni di euro.
[...]
Al tempo stesso occorre mettere in campo anche una forte 
azione per aumentare la fiducia nell’acqua di rubinetto per convincere anche 
quel 30% di famiglie italiane che ancora non ce l’anno - dato 
a cui ha contributo le vicenda altrettanto italiana delle deroghe sulle acque 
potabili, oggi ampiamente rientrata con la sola eccezione di alcuni Comuni della 
Regione Lazio. Occorre mettere in campo 
azioni per la promozione e la diffusione 
dell’utilizzo dell’acqua di rubinetto, attraverso campagne di sensibilizzazione 
dei cittadini e nelle scuole, la distribuzione delle “etichette dell’acqua 
potabile” (cioè la pubblicazione delle informazioni sulle caratteristiche 
organolettiche e chimiche dell’acqua di rubinetto nella bolletta), l’utilizzo di 
acqua in brocca nelle mense scolastiche o l’installazione di erogatori sui 
luoghi di lavoro, nelle strade e nelle piazze cittadine. Iniziative alla base 
della campagna Imbrocchiamola 
(www.imbrocchiamola.org) 
di Altreconomia e Legambiente.
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