mercoledì 28 novembre 2012

«Non c’è niente da fare. L’impressione di tristezza che mi prende sempre più spesso con Facebook nasce da un senso di uniformità, di ripetizione. Lì è tutto organizzato per darti l’illusione di essere unico; ti fanno mettere le tue foto, da
ti, il tuo profilo personale, i film, i libri e i cd che ti piacciono, come se a qualcuno interessasse qualcosa di tutto questo, come se le vacue amenità di cui rendi partecipi gli altri («Carbonara o amatriciana, stasera? That is the question.» «Maria Grazia spegne la tivù e va a letto perplessa.» «ma piove anche lì a Bari?») e i link ai video di Vasco Rossi e le foto del gatto ti confermassero che sei vivo. Che lasci una traccia nel mondo.
Invece io più ci vado più noto che le cose che ci rendono uguali prevalgono su quelle che ci differenziano. Le meschine paure, le frustrazioni. L’ululato dell’Io che vuole farsi sentire a tutti i costi e quanto più si sente piccolo tanto più forte abbaia, come fanno i cani.»

Raul Montanari, Il tempo dell’innocenza [romanzo], Dalai, Milano, 2012.
Il libro è leggibile qui:

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