GREENPEACE: “NOTA DI ENI CONFERMA QUANTO DENUNCIATO SULL’INQUINAMENTO DELLE TRIVELLE IN MARE”
ROMA, 19.03.16 – Greenpeace accoglie
con soddisfazione la nota con cui ENI ammette la legittimità dei riferimenti
menzionati dall’organizzazione ambientalista nel suo rapporto “Trivelle
fuorilegge” sull’inquinamento ambientale delle piattaforme offshore. I
riferimenti utilizzati per la stesura di questo report sono infatti gli stessi
normalmente utilizzati non solo da ISPRA ma soprattutto dal Ministero
dell’Ambiente che, tra l’altro, utilizza correntemente questi parametri nelle
prescrizioni relative all’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per le
emissioni in mare degli impianti di estrazione e trasporto di idrocarburi.
I livelli di concentrazione limite a
cui si fa riferimento ENI sono gli Standard di Qualità Ambientale (SQA),
definiti dalle normative vigenti come i valori limite da non superare per
definire il “buono stato” chimico dell’ambiente.
Laddove non esistono dei limiti di
riferimento, come ad esempio per i metalli, ENI afferma che solo in “alcuni
casi” il confronto tra le concentrazioni di queste sostanze misurate in mitili
(le comuni cozze) raccolti presso le piattaforme mostra valori più alti
rispetto a quelli registrati in campioni di mitili cresciuti in aree
incontaminate (Portonovo). Il confronto effettuato da Greenpeace purtroppo
evidenzia l’esatto contrario. Infatti, solo per citare alcuni esempi, l’82 per
cento dei campioni di mitili per quel che riguarda il cadmio, il 77 per cento
per il selenio, il 63 per cento per lo zinco mostra valori più alti rispetto a
quelli registrati nei campioni di Portonovo. Si tratta di alcuni metalli che
costituiscono i cosiddetti "anodi di sacrificio", ovvero strutture
volte a proteggere dalla corrosione le strutture metalliche delle piattaforme.
Nella sua nota, ENI continua a
parlare di rigidi controlli sui mitili che crescono sulle piattaforme e
destinati alla commercializzazione ma Greenpeace, che da una settimana ha
chiesto questi dati all’Agenzia Regionale per l’Ambiente della Regione Emilia
Romagna e all’Agenzia USL Romagna, non ha sinora ricevuto alcuna risposta.
«Se ci sono, queste analisi restano
segrete: che aspettano ENI, Cooperative della Pesca e organismi competenti a
mostrarle in pubblico? Non serve molto per tranquillizzarci rispetto alla
salubrità degli ingenti quantitativi di cozze, dell’ordine di diecimila
quintali l’anno, secondo quanto leggiamo sui media, immesse sul mercato da
decenni», commenta Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima
di Greenpeace.
«È evidente che serve maggiore
trasparenza su questo e molti altri temi legati alle attività di estrazione di
idrocarburi offshore», continua Boraschi. «Anche a questo serve il referendum
del prossimo 17 aprile: ad alzare il velo su argomenti troppo spesso taciuti.
Ci facciano vedere queste analisi e dopo, si spera, staremo tutti più
tranquilli».
«Nel frattempo restano in sospeso
almeno due interrogativi. Se il Ministero ha evidenze che dimostrano il
superamento dei limiti di riferimento fissati per le piattaforme che sversano
in mare le acque di produzione, perché non fa nulla? E, seconda domanda, dove
sono - se ci sono - i dati del monitoraggio delle restanti piattaforme, un
centinaio circa, di cui il Ministero non ci ha fornito dati?», conclude
Boraschi.
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