Comunicato Legambiente
Ecco la mappa di Legambiente delle
piattaforme e dei permessi entro le 12 miglia
La loro produzione rispetto al fabbisogno
nazionale incide per meno dell’1% per il petrolio e del 3% per il gas
“Titoli già rilasciati entro le 12 miglia
senza più scadenza: una normativa che non vale per nessun’altra concessione e
lascia la possibilità di appropriarsi di una risorsa pubblica a tempo
indeterminato”
Il
referendum del 17 aprile sulle trivellazioni riguarda le attività di ricerca ed
estrazione di idrocarburi nel mare italiano entro le 12 miglia marine dalla
costa. Il quesito interessa tutti i titoli abilitativi all’estrazione e alla
ricerca di idrocarburi già rilasciati e interviene sulla loro data di scadenza.
Perché questo quesito referendario, a cui
Legambiente chiede di votare Sì? Perché il governo, con un emendamento alla
legge di Stabilità 2016 (che modifica il decreto legislativo 152/2006) ha
vietato tutte le nuove attività entro le 12 miglia marine, ma ha mantenuto i titoli già
rilasciati prevedendo che essi possano rimanere vigenti “fino a vita utile del
giacimento”.
La legge
in materia prevedeva che le concessioni di coltivazione avessero una durata
trentennale (prorogabile attraverso apposita richiesta per periodi di ulteriori
5 o 10 anni) e i permessi di ricerca una durata di 6 anni (con massimo due
proroghe consentite di 3 anni ciascuna); con questa modifica alla legge di
Stabilità i titoli già rilasciati entro
le 12 miglia dalla costa (e soltanto questi) non hanno più scadenza. Tutti
gli altri titoli rilasciati (quelli cioè oltre le 12 miglia marine), possono
avere durata di 30 anni nel caso di concessione di coltivazione e di 6 anni nel
caso di permessi di ricerca, in base a un
altro emendamento del governo alla legge di Stabilità 2016 (che modifica il
comma 5 dell’articolo 38 del Decreto Sblocca Italia).
Nel
nostro mare, entro le 12 miglia, ci sono
ad oggi 35 concessioni di estrazione di
idrocarburi (coltivazione). Tre di queste sono inattive, una è in sospeso fino alla fine del 2016 (è quella di
Ombrina Mare, al largo delle coste abruzzesi), cinque erano non produttive
nel 2015. Le altre 26 concessioni, che
sono produttive, sono distribuite tra il mare Adriatico, il mar Ionio e il
canale di Sicilia, per un totale di 79 piattaforme e 463 pozzi.
Queste
piattaforme, soggette a referendum, oggi producono il 27% del totale del gas e
il 9% del greggio estratti in Italia (il petrolio viene estratto nell’ambito di
4 concessioni dislocate tra Adriatico centrale - di fronte a Marche e Abruzzo -
e nel Canale di Sicilia). La loro produzione nel 2015 è stata di 542.881 tonnellate
di petrolio e 1,84 miliardi di Smc (Standar metri cubi) di gas.
I consumi
di petrolio in Italia nel 2014 sono stati di circa 57,3 milioni di tep (ovvero
milioni di tonnellate). Quindi l’incidenza
della produzione delle piattaforme a mare entro le 12 miglia è stata di meno
dell’1% rispetto al fabbisogno nazionale (0,95%).
Per il
gas, i consumi nel 2014 sono stati di 50,7 milioni di tep corrispondenti a 62
miliardi di Smc; l’incidenza della
produzione di gas dalle piattaforme entro le 12 miglia è stata del 3% del
fabbisogno nazionale.
Dato che
l’attuale normativa fa salvi tutti i titoli abilitativi già rilasciati e ancora
vigenti, rientrano in questa categoria
anche i permessi di ricerca presenti nell’area entro le 12 miglia marine.
Sono nove, per un’estensione di 2.488
kmq. Quattro si trovano nell’alto Adriatico (3 sono attualmente sospesi in
attesa di apposito decreto VIA che certifichi la non sussistenza di rischi
apprezzabili di subsidenza; 1 risulta attivo con scadenza nel 2018); altri 2
permessi di ricerca ricadono nell’Adriatico centrale di fronte alle coste
abruzzesi e sono momentaneamente sospesi; un permesso di ricerca si trova nella
porzione meridionale della Sicilia, tra Pachino e Pozzallo, ed è attualmente
sospeso; un altro permesso ricade di fronte la costa di Sibari e la data di
scadenza è nel 2020; l’ultimo permesso ricade a largo dell’isola di Pantelleria
ed è sospeso per problemi tecnici.
E’ importante sottolineare che i dati forniti dall’Ufficio
minerario per gli idrocarburi e le georisorse del Ministero delle Sviluppo
Economico, e da Assomineraria, stimano riserve
certe sotto i fondali italiani che sarebbero sufficienti (nel caso
dovessimo contare solo su di esse) a
soddisfare il fabbisogno di petrolio per sole 7 settimane e quello di gas per
appena 6 mesi.
“E’
importante ricordare - sottolinea Rossella Muroni, presidente di Legambiente -
che mettere una scadenza alle concessioni date a società private, che svolgono
la loro attività sfruttando beni appartenenti allo Stato, non è una fissazione
delle associazioni ambientaliste o dei comitati, ma è una regola comunitaria.
Non si capisce - prosegue Muroni - perché in questo caso, le compagnie
petrolifere debbano godere di una normativa davvero speciale, che non vale per
nessun’altra concessione, togliendo ogni scadenza temporale e lasciando la
possibilità di appropriarsi di una risorsa pubblica a tempo indeterminato. E ci
preoccupa molto - aggiunge la presidente di Legambiente - che il governo,
invece di spiegare come intende portare l’Italia fuori dall’era dei fossili, in
linea con gli impegni presi a Parigi alla Cop21, mandi segnali contrari quali
togliere la scadenza alle attività estrattive in mare entro le 12 miglia”.
Al di là
del merito, non si comprende perché i debbano godere di un privilegio che non è
dato, giustamente, a nessun altro, e che si aggiunge a tanti altri,
agevolazioni fiscali, sussidi indiretti o royalties molto vantaggiose, che Legambiente ha quantificato in circa
2,1miliardi di sussidi diretti o indiretti all’anno all’intero comparto.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.