«Mi piacerebbe insegnare l’aquilone ai figli della padrona, si divertirebbero. Ma non so se riuscirebbero a volare: in questa città non c’è né spazio né vento né azzurro. Si impiglierebbe nelle antenne, temo, resterebbe lì a morire».
Chi parla è Fatima, la ragazzina pakistana che, invisibile tra gli invisibili, ha condiviso le giornate
lavorative con Iqbal. Piccola se n’è anche innamorata perché lui era gentile e la «vedeva», la lasciava «esistere». Ora pensa a quel suo amico, nel suo nuovo paese, l’Italia. Le capita soprattutto di notte, quando si sveglia per il freddo.
lavorative con Iqbal. Piccola se n’è anche innamorata perché lui era gentile e la «vedeva», la lasciava «esistere». Ora pensa a quel suo amico, nel suo nuovo paese, l’Italia. Le capita soprattutto di notte, quando si sveglia per il freddo.
È lei la custode della storia di Iqbal Masih, il bambino pakistano schiavo della tessitura dei tappeti che si ribella e diventa un sindacalista in erba per necessità, denunciando la crudeltà
dei suoi padroni. Sognava di studiare legge da grande, per poter difendere i diritti di tutti. Invece, il 16 aprile 1995 – domenica di Pasqua – alcuni proiettili spezzarono la sua vita. Iqbal si accasciò come un fuscello, mentre correva in bicicletta nella sua città, Muridke.
dei suoi padroni. Sognava di studiare legge da grande, per poter difendere i diritti di tutti. Invece, il 16 aprile 1995 – domenica di Pasqua – alcuni proiettili spezzarono la sua vita. Iqbal si accasciò come un fuscello, mentre correva in bicicletta nella sua città, Muridke.
Sono passati vent’anni da quel brutale assassinio e Francesco D’Adamo, in Storia di Iqbal, un’edizione speciale vent’anni dopo (EL, Einaudi Ragazzi, pp. 139, euro 11, con una introduzione di Gad Lerner), ripropone quella vicenda, trasformando una biografia drammatica in un romanzo di formazione. L’espediente letterario dell’autore anche di Oh, Freedom! (sulla schiavitù nelle piantagioni di cotone) è quello del racconto di una testimone, la bambina che all’epoca dei fatti era lì, dal tramonto all’alba al telaio, sfinita dagli orari di lavoro. A dissetare la sua voglia di libertà, solo i rami fioriti di un mandorlo inquadrati da una finestrella.
«Il riposo durava un’ora, la fame molto più a lungo», confessa Fatima. E se qualcuno dei lillipuziani lavoratori commetteva un errore, c’era la punizione della «Tomba»: una cisterna interrata nel cortile dove si finiva rinchiusi, boccheggiando per la mancanza d’aria e l’angoscia del buio. Naturalmente la Tomba
toccava soprattutto a Iqbal. Fatima ricorda bene quando arrivò quel ragazzino «sfrontato»: era un caldissimo
giorno d’estate.
toccava soprattutto a Iqbal. Fatima ricorda bene quando arrivò quel ragazzino «sfrontato»: era un caldissimo
giorno d’estate.
Venduto per debiti dal padre, non pensava ad altro che a scappare e nei suoi sogni di fuga c’era sempre anche lei, la sua amica del cuore. Prima di morire, diventerà celebre, viaggerà in America e in Europa, farà discorsi davanti ai potenti e denuncerà il lavoro minorile. Poi, verrà inghiottito dalla terra, a 14 anni.
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