Acqua,
le Regioni continuano a chiedere canoni ridicoli agli
imbottigliatori
Attraverso
la revisione dei canoni le Regioni potrebbero ottenere 250 milioni di euro per
le politiche di tutela e gestione della risorsa idrica
L’acqua
in bottiglia non conosce crisi. Nel 2012 i consumi sono addirittura cresciuti
rispetto all’anno precedente, passando a 192 litri d’acqua minerale per
abitante. Più di una bottiglietta da mezzo litro al giorno a testa -nell’80%
dei casi di plastica- che conferma il primato europeo del nostro Paese: 12,4
miliardi di litri imbottigliati, per un
giro d’affari da 2,3 miliardi di euro in mano a 156 società e 296 diversi
marchi. Un’attività che ha un grande
impatto ambientale. Per soddisfare l’incomprensibile sete di acqua minerale
degli italiani vengono infatti utilizzate oltre 6 miliardi di bottiglie di
plastica da 1,5 litri, per un totale di più di 450 mila tonnellate di petrolio
utilizzate e oltre 1,2 milioni di tonnellate di CO2 emesse. Impatti importanti
che garantiscono elevatissimi profitti esclusivamente alle società che
gestiscono questo business, agevolate da canoni a macchia di leopardo e sempre
estremamente vantaggiosi.
È
questo il quadro che emerge da “Regioni Imbottigliate”, l’indagine annuale di
Legambiente e
Altreconomia sui canoni di imbottigliamento dell’acqua. All’industria
delle acque minerali, in quasi tutte le Regioni italiane, vengono richiesti
importi ridicoli, a volte addirittura stabiliti senza prendere in considerazione
i volumi emunti o imbottigliati. Una vera e propria regalia di un bene pubblico
che appartiene a tutti i cittadini. Sono poche, infatti, le novità
rispetto agli altri anni, e anche dove si è rivista la normativa, come nel caso
della Puglia, non si è comunque
adeguato il canone a quelli che sono i criteri dettati nel 2006 dalla Conferenza Stato-Regioni che, provando a
mettere ordine nel settore, proponeva canoni uniformi e l’obbligo di pagare sia
in funzione degli ettari in concessione sia per i volumi, indicando come cifre
di riferimento almeno 30 euro per ettaro e un importo tra 1 e 2,5 euro per
m3 imbottigliato.
Tra
le regioni bocciate anche il Molise,
la cui regolamentazione fa ancora riferimento ad un Regio Decreto del 1927, la
Provincia autonoma di Bolzano, l’Emilia-Romagna e la Sardegna.
Non
bocciate, ma rimandate, sono le Regioni che, pur applicando un doppio canone,
impongono importi inferiori ad 1€/m3, diversamente da quanto indicato
dalle linee guida nazionali. Per il 2014 queste sono, di nuovo, la Basilicata, la Campania e la Toscana.
Le
Regioni promosse con riserva, invece, sono quelle cioè che applicano un doppio
canone con importi uguali o superiori ad 1€/m3: l’Abruzzo, la Calabria, il Friuli Venezia Giulia, il Piemonte, le Marche, l’Umbria, la Valle d’Aosta, la Provincia autonoma di Trento, la Lombardia e il Veneto. Quattro di queste regioni, Piemonte, Abruzzo, Calabria e Veneto, prevedono forti sconti sui
canoni delle concessioni per i volumi imbottigliati se le aziende sottoscrivono
con la Regione un protocollo di intesa recanti patti per la difesa dei livelli
occupazionali.
Soltanto
due Regioni si distinguono positivamente. Il primato per i canoni più alti
spetta al Lazio, che applica una
quota per gli ettari, una per i volumi emunti ed una per quelli imbottigliati,
rispettivamente di 65 e 130€/ha, 1€/m3 e 2€/m3. A cui si
aggiunge la Sicilia che, da maggio
2013, applica un canone più alto alle concessioni, chiedendo alle ditte
imbottigliatrici, da 60 a 120 €/ha a fronte dei precedenti 10 € e, seguendo
l’esempio virtuoso del Lazio, adotta, da quest’anno, il triplo canone (in
funzione dei volumi emunti e imbottigliati, rispettivamente 1 e 2
€/m3). Il Lazio e la Sicilia sono quindi le uniche due regioni ad
applicare un triplo canone ed importi superiori ad 1€/m3 per i volumi
emunti e di 2€/m3 per quelli imbottigliati.
Legambiente
ed Altreconomia hanno inoltre calcolato che l’acqua in bottiglia viene
mediamente venduta a un prezzo di 0,26€ al litro, mentre alle Regioni le
aziende imbottigliatrici pagano in media 1€ ogni 1000 litri, ovvero
un millesimo di euro per litro imbottigliato, con ampi margini di
guadagno. Quello che gli italiani vanno a pagare, infatti, è rappresentato per
più del 90% dai costi della bottiglia, dei trasporti e della pubblicità, unito
ovviamente all’enorme guadagno dell’azienda in questione, e solo per l’1%
dall’effettivo costo dell’acqua.
“I
canoni di concessione stabiliti dalle Regioni sono estremamente bassi perfino in
aree dove vi sono difficoltà di approvvigionamento idrico e il settore delle
acque in bottiglia, così come altre attività che utilizzano
e consumano i beni ambientali, deve rientrare in una più ampia riforma della
fiscalità ambientale, così come previsto dalla normativa europea –dichiara Giorgio Zampetti, responsabile
scientifico di Legambiente-. Appare chiara la discordanza tra i costi
pagati dalle aziende private, che imbottigliano acqua per il loro personale
tornaconto, e quelli pagati dai cittadini, che si ritrovano ad acquistare a caro
prezzo un bene che di fatto è già loro. La nostra proposta è di istituire un canone
minimo nazionale per le concessioni di acque minerali pari ad almeno 20 euro al
m3 (ossia 0,02 euro al litro
imbottigliato). Ai tassi attuali di prelievo si ricaverebbero circa 250
milioni di euro che potrebbero essere destinati alle politiche di tutela e
gestione della risorsa idrica”.
“Nei
giorni scorsi Expo 2015 spa e Sanpellegrino, società del gruppo Nestlé leader in
Italia nel mercato delle acque in bottiglia, hanno reso nota la propria
partnership in vista dell'Esposizione universale: l'acqua Nestlé sarà l'acqua di
Expo. Crediamo -aggiunge Luca
Martinelli, giornalista di Altreconomia- che per il governo italiano e per
la Regione Lombardia, che sono tra gli azionisti di Expo spa, la manifestazione
avrebbe dovuto rappresentare un momento in cui promuovere la qualità dell'acqua
di rete e il consumo di acqua di rubinetto, e non trasformarsi in un veicolo di
marketing per una multinazionale dell'acqua, che in Lombardia imbottiglia
miliardi di litri tra acqua e bibite, riconoscendo in entrambi i casi canoni
irrisori all'amministrazione pubblica”.
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