Comunicato Greenpeace
DAKOTA
ACCESS PIPELINE, GREENPEACE: «BANCHE COINVOLTE NEL PROGETTO, TRA CUI INTESA
SANPAOLO, RITIRINO I LORO FINANZIAMENTI»
AMSTERDAM
(PAESI BASSI), 16.02.17 - Attivisti di Greenpeace sono entrati in azione questa
mattina ad Amsterdam davanti alla sede della banca ING, per chiedere
all’istituto di ritirare il suo finanziamento al Dakota Access Pipeline (DAPL),
un progetto di oleodotto che attraversa un'area sacra per i nativi indiani
Sioux, mettendo a rischio le riserve idriche di una vasta zona del Nord degli
Stati Uniti. Venti attivisti hanno installato un tubo di grande portata, lungo
venti metri, fin dentro all’ingresso della sede principale del gruppo ING per
rappresentare chiaramente l’impatto dell’opera che si vorrebbe realizzare.
Il
DAPL, bloccato dall'amministrazione Obama anche per l'elevato rischio di
contaminazione delle acque potabili, ha ricevuto il definitivo via libera
dall’amministrazione Trump nei giorni scorsi. L’oleodotto, lungo 1900
chilometri, è progettato per portare petrolio dal Dakota fino all'Illinois. Il
suo costo si aggira su circa i 4 miliardi di dollari, mentre la sua portata
sarebbe di 450 mila barili/giorno. Nel solo 2016 si sono registrati oltre 200
sversamenti dagli oleodotti nel territorio statunitense.
«Mentre
ABN AMRO, che finanzia una delle aziende coinvolte nel progetto, ha dichiarato
che ritirerà il suo prestito se il DAPL non avrà l’assenso delle popolazioni
che abitano le aree interessate, banche come ING o Intesa Sanpaolo in Italia
non hanno ancora espresso una linea chiara né preso impegni vincolanti»,
dichiara Andrea Boraschi, responsabile campagna Energia e Clima di Greenpeace
Italia.
Nei
giorni scorsi Greenpeace Italia ha scritto una lettera ufficiale ad Intesa
Sanpaolo per chiedere se intende continuare a supportare economicamente il
DAPL. Il gruppo bancario, in un comunicato ufficiale precedente al via libera
definitivo di Trump, aveva dichiarato di “conferma(re) il suo impegno a seguire da
vicino e con la massima attenzione i risvolti sociali e ambientali legati al
finanziamento del Dakota Access Pipeline - in particolare il rispetto dei
diritti umani - in coerenza con i principi espressi nel suo Codice Etico e con
gli standard internazionali in campo sociale e ambientale a cui aderisce”; per
questo Intesa Sanpaolo si è già “unita a un gruppo
di istituzioni finanziarie che ha commissionato a un esperto indipendente
specializzato in diritti umani un’analisi delle politiche e delle procedure
adottate dai promotori del progetto in materia di sicurezza, diritti umani,
coinvolgimento della comunità e patrimonio culturale”.
La
protesta dei nativi americani è stata a più riprese contrastata con metodi
brutali. È stato documentato l'uso di gas lacrimogeni, di proiettili di gomma,
l’impiego di elicotteri e di potenti riflettori per illuminare a giorno gli
accampamenti e impedire il sonno. E poi ancora episodi di detenzione di persone
in cucce per cani e di maltrattamenti durante gli arresti, anche verso persone
anziane, nonché l'uso di idranti che, con temperature ben al di sotto dello
zero, hanno letteralmente congelato i manifestanti.
«Auspichiamo
che gli approfondimenti che Intesa Sanpaolo sta svolgendo siano celeri e
portino a decisioni chiare e rispettose dei nativi americani, dell’ambiente e
del clima. L’amministrazione Trump ha notevolmente accelerato i tempi del
progetto, e i finanziatori devono dire adesso da che parte stanno. Non c’è più
tempo per tentennamenti e indecisioni. Investire in progetti che violano i
diritti umani e danneggiano il clima equivale a stare dalla parte sbagliata
della storia», conclude Boraschi.
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