lunedì 2 novembre 2015

Pasolini in bicicletta

Esattamente quarant'anni fa - il 2 novembre 1975 - veniva ucciso a Ostia il più importante intellettuale italiano del secondo Novecento. Che amava molto anche la bicicletta. Un articolo del regista e scrittore Enzo Lavagnini, ricostruisce un avventuroso viaggio fatto in bici dal giovane Pasolini da Bologna a Venezia, e poi fino a Casarsa.



Pasolini: una lunga pedalata verso l’estate
di Enzo Lavagnini

fonte e articolo completo: www.cineclubromafedic.it, luglio 2015


La strada è bianca, dritta e senza fine; l’orizzonte è solo una piastra afosa, fatta del colo di una pianura immensa. I pedali pigiati come stantuffi. La bicicletta viene spinta in avanti: è pesante come fosse di sasso. “Quando arriva Venezia?”. “ Pedala, pigrone!”. La fatica non spegne le risate genuine dei due ragazzi. Lacrime di sudore gocciolano sugli occhi. Panni bagnati. Incrociano qualche rara vettura. Col sole tagliente tutto si confonde: la terra smossa dalle ruote poi lascia una piccola traccia fumosa del loro passaggio.
E’ una strana estate quella del 1940. Tutto è già cambiato, l’Italia è in guerra, eppure tutto sembra esattamente come sempre al suo posto: quei campi coltivati, i pochi contadini che li salutano, un ponticello, una fontana a cui rifocillarsi e riempire le borracce, i borghi rurali che attraversano.
Terminati gli esami universitari, il diciottenne Pier Paolo Pasolini è partito in bicicletta da Bologna per raggiungere Venezia. E’ insieme all’amico Ermes Parini (detto Paria) e la destinazione è una visita alla Biennale d’arte. Poi, da solo, Pier Paolo – e sempre in bicicletta – arriverà a San Vito di Cadore e in seguito fino a Casarsa. In tutto Pasolini compirà in bicicletta un giro di oltre 400 chilometri. Di questa piccola “avventura” muscolare egli scrive: “Ad ogni modo una cosa bella da essere confusa con un sogno, l’ho avuta: il viaggio da San Vito a qui, in bicicletta (130 KM): esso appartiene a quel genere di avvenimenti che non possono essere raccontati senza l’aiuto della voce e dell’espressione. L’alba, le Dolomiti, il freddo, gli uomini coi visi gialli, le case e i sagrati estranei, l’accento estraneo, le cime e le valli nebbiose irraggiate dall’aurora”( lettera all’amico Franco Farolfi, agosto 1940).
Paria ogni tanto perde coraggio, Pier Paolo lo sprona. Ai curiosi occhi dei due giovani pedalatori, alimentati ad arte e letteratura, tutto appare splendido, sorprendente, poetico. Ogni immagine è una nuova suggestione. Tutto è incluso in una cornice sinfonica che racconta di un paese che l’estate sta asciugando dall’umidità invernale, di una passione giovanile per l’esplorazione, della forza dei muscoli. Hanno passato il Po e subito dopo cittadine come Adria, Cavarzere, Piove di Sacco, per poi cominciare a sentire l’odore salmastro della laguna. Pedalando e pedalando sono passati così dall’operosa Bologna all’incanto di Venezia. La visita alla Biennale è il naturale e necessario approfondimento degli studi (Pier Paolo studia con passione Arte all’Università, con Roberto Longhi), anche se le astensioni “politiche” della Francia, dell’Inghilterra, della Danimarca e della Russia menomano alquanto la rassegna, nella quale resiste il retorico concorso per affreschi e bassorilievi ispirato ai temi del “Duce ed il Popolo”, “dello Squadrismo”, della “Marcia su Roma”, dell’ ”Impero”, e dove comunque, tra la varia paccottiglia di regime, si possono osservare opere significative di Carlo Carrà, Gino Severini, Felice Casorati.   [...]

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