BLACK
FRIDAY: PER GREENPEACE LA MODA A BASSO PREZZO COSTA TROPPO AL PIANETA
ROMA, 24.11.16 –
Una nuova ricerca pubblicata oggi da Greenpeace Germania, alla vigilia del
Black Friday, la giornata che negli Stati Uniti segna l’inizio dello shopping
natalizio e che sta diventando popolare anche in Italia, evidenzia le gravi
conseguenze sull’ambiente dell’eccessivo consumo, in particolare di capi
d’abbigliamento. “Difficile resistere alla tentazione di un buon affare, ma
l’offerta di prodotti a basso costo fa sì che consumiamo e produciamo rifiuti a
un ritmo più elevato di quello che il nostro pianeta può sostenere” afferma
Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace.
In risposta al
consumismo sfrenato un crescente numero di persone sceglie di astenersi e
osservare il “Buy Nothing Day”, a cui partecipa anche Greenpeace, che si
celebra domani in coincidenza con il Black Friday. Per ricordare ai consumatori
quanto spesso gli acquisti d’impulso finiscano in discarica “trash queens”,
vestite con abiti frutto del riciclo di indumenti dismessi, sfileranno in tre
città asiatiche ed europee.
La ricerca
pubblicata oggi da Greenpeace Germania mostra come il business
dell’abbigliamento a basso costo si stia espandendo rapidamente. In media una persona
acquista il 60 per cento in più di prodotti d’abbigliamento ogni anno e la loro
durata media si è dimezzata rispetto a 15 anni fa producendo montagne di
rifiuti tessili. La produzione di vestiti è raddoppiata dal 2000 al 2014, con
le vendite che sono passate da un miliardo di miliardi di dollari nel 2002 a
1,8 miliardi di miliardi nel 2015. Si prevede che nel 2025 arrivino a 2,1
miliardi di dollari.
L’impatto
ambientale deriva da veri fattori quali le sostanze chimiche usate
dall’industria tessile che inquinano fiumi e oceani e le elevate quantità di
pesticidi impiegati nelle piantagioni di cotone che contaminano le terre
agricole o le sottraggono alla produzione di alimenti. Uno dei costi maggiori
per il pianeta viene però dal crescente uso di fibre sintetiche: il poliestere,
in particolare, emette quasi tre volte più CO2 nel suo ciclo di vita rispetto
al cotone. Presente già nel 60 per cento dell’abbigliamento, questo materiale
può impiegare decenni a degradarsi e contaminare l’ambiente marino sotto forma
di microfibre in plastica.
Le aziende
dell’abbigliamento devono ripensare questo modello di consumo usa e getta e
produrre capi che durino più a lungo e che siano riparabili e riutilizzabili”
spiega Ungherese. “Come consumatori prima di effettuare il nostro prossimo
acquisto chiediamoci: ne ho realmente bisogno?”.
Greenpeace si
occupa dell’impatto del settore del tessile dal 2011, con la campagna Detox che
ha avuto l’adesione di 78 tra grandi marchi internazionali e numerose realtà
tessili italiane, 27 delle quali del distretto tessile di Prato. Queste imprese
si sono impegnate a eliminare l’uso di sostanze chimiche pericolose entro il
2020 e stanno già facendo molti progressi in questo senso. Tuttavia, ogni
progresso sarà vanificato se continua la tendenza a produrre vestiti a basso
costo con crescenti livelli di produzione e consumo di risorse.
Leggi la ricerca
(in inglese): http://www.greenpeace.org/international/Global/international/briefings/toxics/2016/Fact-Sheet-Timeout-for-fast-fashion.pdf
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