venerdì 4 luglio 2014

Julio Cortázar (1914-1984), Vietato introdurre biciclette


Nelle banche e nei negozi di tutto il mondo a nessuno importa un fico secco che qualcuno entri con un cavolo sotto il braccio o con un tucano o che dalla sua bocca si snodino come un nastro le canzoni che insegnò la mamma, oppure che conduca per mano uno scimpanzé in maglietta a righe. Ma non appena una persona entra con una bicicletta tutti si agitano, e il veicolo è espulso violentemente in strada mentre il suo proprietario deve subire gl’indignati rimproveri degli impiegati.
Per una bicicletta, ente docile e dal comportamento modesto, costituisce una umiliazione e una beffa la presenza dei cartelli che le sbarrano il passo ad ogni bella porta di cristallo della città. E’ noto che le biciclette hanno cercato con tutti i mezzi di ovviare a questa loro triste condizione sociale. Però in tutti i paesi assolutamente della terra è proibito introdurre biciclette. Alcuni aggiungono «e cani», precisazione che raddoppia nelle biciclette e nei cani il complesso d’inferiorità. Un gatto, una lepre, una tartaruga possono legalmente entrare da Bunge & Born o negli studi degli avvocati di corso San Martín senza suscitare altro che sorpresa, somma delizia fra le telefoniste ansiose o al massimo un ordine al portiere di sbattere fuori i suddetti animali. Può accadere anche questo, ma non è cosa umiliante, innanzi tutto perché rappresenta una probabilità tra molte altre, e poi perché scaturisce come effetto di una causa e non da una fredda macchinazione preordinata, orribilmente impressa su targhe di bronzo o di smalto, tavole dell’inesorabile legge che umilia la semplice spontaneità delle biciclette, creature innocenti.
Ad ogni modo, attenti a quel che fate, direttori! Anche le rose sono ingenue e dolci, ma forse sapete che in una guerra di due rose perirono principi ch’erano un nero fulmine, accecati da petali di sangue. Non vi accada che le biciclette si destino un giorno irte di spine, che le manopole del loro manubrio si rizzino disponendosi per l’attacco, che corazzate di furore assaltino a legioni i cristalli delle compagnie di assicurazione, e che il ferale giorno si chiuda con un tracollo in borsa, con un lutto di ventiquattro ore, e biglietti listati di nero con cui la famiglia commossa ringrazia.

(da Storie di cronopios e di fama, Einaudi, Torino, 1971)

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